Misteri italiani

A Bologna quel giorno c’era un terrorista internazionale

Chi tentasse di dare un senso a tutto quello che si è detto fino ad oggi sulla Strage di Bologna finirebbe per rimanere invischiato in una palude di piste, di zigzaganti verità, ripensamenti, riscritture e insabbiamenti.

Chiunque provasse ad addentrarsi verrebbe investito da una sensazione di sopraffazione e spaesamento. È chiaro che non basta una vita intera per leggere tutto ciò che è stato scritto e ascoltare tutto ciò che è stato detto sulla vicenda. Ed è a quel punto che interviene la razionalità. Quella che impone di lasciar perdere, di farsi bastare una risposta da “baci Perugina”. Terrorismo fascista, così come è scritto sulla lapide di commemorazione apparsa nella stazione di Bologna il 1 agosto ’81, nemmeno un anno dopo l’esplosione della sala d’attesa.

La ricostruzione ufficiale la conosciamo tutti: il terrorismo stragista è sempre nero, per definizione. Sono sempre stati i fascisti a mettere le bombe che ammazzano gli innocenti. I rossi, al contrario, selezionano i loro bersagli.

È in base a questa tanto banale quanto efficace considerazione che le indagini si sono subito indirizzate verso l’ambiente dell’eversione nera, sin dalle prime ore dallo scoppio, e alla fine sono arrivati anche i nomi dei colpevoli: Giuseppe Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, cioè i Nuclei Armati Rivoluzionari, i NAR, un movimento eversivo e terroristico di estrema destra.

I tre sono stati tutti condannati in via definitiva come esecutori materiali dell’attentato di Bologna.

Mistero risolto, quindi? Beh, forse. Di loro parleremo un’altra volta, perché in questa puntata, che è la prima di una piccola serie, vi parlerò di qualcosa che forse non sapete.

Vi sto per raccontare di una presenza oscura. Un fantasma che aleggiava per Bologna quella mattina, proprio nei dintorni della stazione mentre 85 anime (o forse 86, ma ne parleremo un’altra volta) volavano in cielo, investiti dall’esplosione della bomba che ha fatto accartocciare su sé stessa un’intera ala dell’edificio della stazione, quella che ospitava le sale d’aspetto di prima e seconda classe, la tavola calda e gli uffici di varie società e delle stesse FS.

Quello che sto per dirvi è segretissimo. O almeno lo è stato per venticinque anni. Tanto tempo è passato prima che qualcuno avesse il coraggio di pronunciare pubblicamente il nome di quello spettro, e se alla fine siamo riusciti a fare un po’ di luce lo dobbiamo unicamente al lavoro certosino di Gian Paolo Pelizzaro.

A proposito, lasciatemi ringraziare sia lui, Gian Paolo, che Gabriele Paradisi. Due giornalisti e studiosi serissimi, onesti intellettualmente, che hanno speso parte della loro vita cercando di scavare tra le pieghe di questa e di altre storie. È grazie a loro se oggi posso raccontarvi questa storia.

2 agosto 1980. Sono le 10.25, e il caldo è già una coperta spessa che ricopre la città di Bologna. La stazione è appena esplosa e un uomo, a poche decine di metri dalla sala d’aspetto ridotta in pezzi, sta cercando un taxi.  

Un taxi molto particolare, perché quel taxi lo dovrà portare dove già si trova. Ve l’ho detto che questa è una storia degna di un’opera di Escher, dove le geometrie impossibili si inseguono senza alcun senso.

Quell’uomo dice di trovarsi in fondo a via dell’Indipendenza, quel mattino, e di essersi spaventato per tutto quel trambusto di sirene e di gente accalcata. Non è proprio uno stinco di santo, e teme che ficcandosi in una situazione di grande agitazione, in presenza delle forze dell’ordine, qualche poliziotto possa chiedergli i documenti e, scoperto di chi si tratta, magari trattenerlo per accertamenti proprio come gli era successo il giorno prima, quando dalla Germania era entrato in Italia, attraverso il valico di Chiasso, sul confine tra Svizzera e Italia.

Quell’uomo dice di aver chiamato un taxi per andare dalla fine di via dell’Indipendenza, dove si trovava, all’autostazione, dove ha poi preso una corriera che lo ha portato a Firenze, reale destinazione del suo viaggio in Italia.

A Firenze ci sarebbe voluto essere già dalla maledetta sera prima, e ce l’avrebbe fatta se solo al valico di Chiasso la polizia italiana non lo avesse trattenuto per tutto quel tempo per controlli doganali. Non voleva mica trovarsi a Bologna proprio quel giorno di agosto, quel maledetto 2 agosto 1980.

O almeno questo è quello che dice. Perché in questa spiegazione c’è una cosa che proprio non torna. È un dettaglio, ma è fondamentale. L’uomo dice che si trovava in fondo a via dell’Indipendenza quando ha chiamato il taxi per farsi portare all’autostazione.  Peccato che l’autostazione di Bologna si trovi proprio in fondo a via dell’Indipendenza.

Come è possibile prendere un taxi per andare dove già ci si trova?

Il racconto di quell’uomo è il racconto di qualcuno che pensa di aver dato una spiegazione convincente, ma che non si rende conto di aver raccontato qualcosa di impossibile, come un quadro di Escher. Sembrerebbe una spiegazione inventata di sana pianta.

Quell’uomo ha un nome e un cognome. Si chiama Thomas Kram. E non è personaggio qualsiasi. Non è un turista distratto che si è perso per le belle vie della città, o un visitatore sbadato rimasto sconvolto dalle orribili immagini di un attentato avvenuto a pochi metri da lui, visto che da quella posizione, in fondo a via dell’Indipendenza, la stazione è ben visibile a poco più di un centinaio di metri. No, Thomas Kram il tedesco, che il giorno prima entrando in Italia è stato fermato a Chiasso per un controllo scrupoloso di frontiera, è già noto alle forze dell’ordine. Ed è noto perché gravita attorno a un gruppo terroristico internazionale. Il gruppo di estrema sinistra capeggiato dal super terrorista Carlos lo Sciacallo.

Un terrorista internazionale a Bologna il giorno della strage!?

Il nome di Thomas Kram e la sua presenza il giorno dell’esplosione è noto agli inquirenti già pochi giorni dopo l’attentato. I poliziotti della Digos di Bologna fanno il loro mestiere e  iniziano subito a setacciare i registri degli alberghi della città, a caccia di indizi. È così che si imbattono nel nome di Kram, e scoprono che aveva dormito a Bologna, vicino a piazza Maggiore, proprio la notte tra l’uno e il due agosto.

La preoccupazione è massima quando poi scoprono che Kram era stato in città anche un’altra volta, il febbraio dello stesso anno, e si convincono che non può essere una coincidenza. La faccenda in realtà era ancora più complessa, perché in quell’albergo, la stessa notte, c’era anche un altro uomo, un uomo di cui parleremo in un’altra puntata.

Inizia subito uno scambio di informazioni ai massimi livelli, per cercare di capire di più su quella spaventosa presenza.

Il 7 agosto 1980 dalla questura di Bologna parte un telex indirizzato al Ministero dell’Interno e ad altre questure per comunicare la presenza del sospetto terrorista e chiedere ulteriori informazioni su altre due persone, cittadini italiani, che avevano dormito insieme a lui a Bologna a febbraio: [«Kram Thomas […] sospettato appartenere gruppi terroristici tedeschi – data 1° corrente [1° agosto 1980] habet alloggiato esercizio recettivo questo capoluogo [Bologna]»].

Il 9 agosto arriva un telex dalla Criminalpol verso il Ministero dell’Interno italiano, che contiene un dispaccio della polizia tedesca tradotto in Italiano, che recita: «Per quanto attiene a sue relazioni passate est emerso che medesimo [Thomas Kram] habet avuto contatti con Johannes WEINRICH, Sabine Eckle e Rudolf Schindler (componenti del gruppo Cellule Rivoluzionarie) e attualmente ricercati in quanto terroristi pericolosi, nonché con altre persone simpatizzanti con le quali est tuttora in rapporti».

Il 12, 14 e 16 agosto le questure di Milano, Napoli e Matera trasmetteranno a quella di Bologna le informazioni che erano state chieste sui due cittadini italiani che erano insieme a Kram a febbraio.

Da quel momento in poi, però, tutto tace. Nessuno più si chiede chi sia Thomas Kram e perché un «esperto di esplosivi», un estremista tedesco sospetto terrorista si trovasse proprio a Bologna il 2 agosto 1980.

Le indagini avevano nel frattempo preso un’altra piega. Le stragi dinamitarde sono atti del terrorismo nero, lo abbiamo già detto. Sono i fascisti a piazzare le bombe e scappare, è cosa nota. E quindi bisogna indagare sui fascisti italiani. La pista è nera, deve essere nera, ed è per questo che, probabilmente, le indagini su Kram si fermano per sempre.

In televisione si insegue già la pista neofascista e stragista, e alla questura l’attività di polizia su Kram registra una battuta di arresto.

Il suo nome rimarrà seppellito negli atti di polizia e nei faldoni dell’inchiesta sulla strage di Bologna, nascosto per venticinque anni. Leggiamo di lui per l’ultima volta il 16 settembre 1980, quando in una relazione della questura di Bologna, indirizzata alla Procura, Kram compare in una lista di 34 punti che danno conto al capo della Procura di Bologna, Ugo Sisti, degli accertamenti svolti in seguito alle segnalazioni di anonimi e mitomani.

Le informazioni di polizia su Kram il terrorista sono trattate alla stregua di una telefonata anonima?

Sì, è proprio così che vanno le cose. E tutto rimane insabbiato, sconosciuto all’opinione pubblica. Quel documento rimane seppellito nel faldone di un ramo del processo che sarà binario morto, e la stessa fine tocca ai telex della polizia, che finiranno addirittura nel faldone degli anonimi. Irraggiungibili come il relitto di un vascello che si è inabissato nell’oceano.

Passeranno vent’anni, e di Thomas Kram non si avranno più tracce. È solo alla fine del 2000 che qualcosa accade nelle segrete stanze delle istituzioni. La magistratura tedesca sa dando la caccia a una terrorista latitante, Adrienne Agate Gerhauser, che secondo gli inquirenti poteva essere nascosta in Italia e poteva accompagnarsi, tra gli altri, ad un altro terrorista latitante, un certo Thomas Kram, che dal 1987 aveva fatto perdere le sue tracce in Germania. In Italia, seppur non formalmente ricercato, il tedesco era sparito nel nulla già dalla tarda mattinata del 2 agosto 1980.

I tedeschi segnalano allora queste informazioni alla direzione della polizia di prevenzione, l’antiterrorismo italiano, che a sua volta dirama un telex alla questura di Bologna, chiedendo di svolgere ulteriori accertamenti sulla presenza di Thomas Kram in città il giorno della strage e sollecitando la questura di informare la locale Procura della Repubblica.

E così accade, i poliziotti di Bologna forniscono alla Procura un rapporto di 5 pagine che contiene le informazioni su Kram e ancora una volta la conferma della sua presenza a Bologna il giorno dell’attentato.

Informazioni già disponibili nell’80, a cui si aggiungono altre conferme sulla militanza di Kram nelle Cellule Rivoluzionarie e nel gruppo di Carlos lo sciacallo, e a cui si aggiunge soprattutto una notizia ancor più spaventosa. Kram era un esperto esplosivista capace di realizzare ordigni e detonatori a tempo.

Non un banale militante quindi, un vero e proprio bombarolo. A Bologna, il 2 agosto 1980 e proprio in stazione, come aveva rivelato lo stesso Carlos nel 2000, quando in un’intervista rilasciata a Il Messaggero raccontò della presenza di un suo uomo alla stazione quel giorno, senza rivelarne l’identità. Si scoprirà solo dopo che quell’uomo era proprio Thomas Kram.

Sono notizie ancora più dirompenti di quelle che erano state nascoste nel 1980 quelle che giungono sul tavolo dell’allora sostituto procuratore dott. Paolo Giovagnoli nel 2001. Ma anche questa volta Thomas Kram viene inspiegabilmente protetto da una cortina fumogena, perché il magistrato, che apre un fascicolo sulla vicenda, chiede e ottiene dal procuratore capo l’iscrizione a modello 45, cioè “atti non costituenti notizia di reato”.

In pratica, il rapporto del Capo della Polizia venne trattato peggio di una lettera anonima o di un dossier falso.

È una mossa incredibile e inspiegabile che permette di archiviare la posizione di Kram senza neanche dover passare dal vaglio di un GIP: «Visto. Agli atti, non emergendo fatti rilevanti per le indagini sui fatti di Bologna o dell’Italia», è con questa lapidaria nota che il dott. Giovagnoli liquida tutta la faccenda, sigillandola ancora una volta nei faldoni polverosi e impenetrabili agli sguardi indiscreti dell’opinione pubblica italiana.

Ma la verità è una coperta che lascia scoperti i piedi. E nel luglio del 2005 Gian Paolo Pelizzaro, scavando negli uffici della questura di Bologna, si imbatte nel nome di Thomas Kram, ed è grazie al suo lavoro se tutto quello che vi sto raccontando è venuto finalmente a galla ed è stato finalmente reso pubblico.

L’apertura del vaso di Pandora però, anziché provocare lo sdegno pubblico e l’indignazione degli italiani, genera un mostro ancora più grande.

Con Kram ancora latitante e di cui non si hanno più notizie ormai dall’87, in Italia si forma spontaneamente un agguerrito e nutrito comitato di accoglienza del terrorista, che mira ad aiutarlo e scagionarlo da ogni possibile accusa sulla strage di Bologna. È la rete del soccorso rosso, che si mette in moto in difesa del compagno Kram.

La  manifestazione certamente più assurda di questa rete di soccorso è ciò che avvenne nella commissione bicamerale d’inchiesta detta “Mitrokhin”, che tra le altre cose aveva indagato anche sull’attentato del 2 agosto. Siamo nel 2006 e all’interno della relazione finale presentata dalla minoranza di centrosinistra ci fu una vera e propria manipolazione del telex di polizia che documentava l’arrivo di Kram in Italia il 1 agosto dell’80, e il suo già citato controllo al valico di Chiasso.

Cambiando qualche parola e qualche virgola la versione manipolata del testo faceva intendere che Kram a causa della perquisizione era arrivato a Milano molto tardi e in un orario imprecisato, così da essere obbligato a fare una tappa intermedia a Bologna, prima di riprendere il viaggio per Firenze. Ma dal testo originale appare invece chiaro che Kram doveva essere arrivato a Milano con l’unico treno disponibile per quel viaggio, quello arrivato in Stazione Centrale alle 14, e cioè in un orario che gli avrebbe tranquillamente consentito di giungere a Firenze entro la serata.

L’operazione di manipolazione dava un senso alla sua presenza a Bologna il 2 agosto, e la cosa più grave è che quella falsità venne usata proprio da Thomas Kram in persona quando, riemerso dalla latitanza nel 2007, citò esplicitamente le parole di quella relazione per ribadire che quel giorno era diretto a Firenze e non a Bologna, dove rimase bloccato suo malgrado a causa dei ritardi dovuti ai controlli di frontiera. Ritardi che però non sono mai esistiti, se non nella versione manipolata ad arte dei fatti.

Alla fine la Procura di Bologna di fronte alle notizie eclatanti ormai di dominio pubblico fu costretta a indagare su Thomas Kram, che comunque si rifiuterà di rispondere a qualsiasi domanda, e si limiterà – l’ultimo giorno utile – a depositare una memoria difensiva nella quale sono presenti menzogne come quando arriva a sostenere di essersi recato a Firenze, in corriera il 2 agosto. Gian Paolo Pelizzaro e Gabriele Paradisi hanno scoperto che Kram il 5 agosto era entrato a Berlino Est dal checkpoint Charlie, guardacaso proprio mentre a Berlino Est stavano arrivando anche alcuni suoi compagni di lotta delle Cellule Rivoluzionarie e vertici del gruppo Carlos. Ma anche su questo Kram nega tutto spudoratamente, nonostante ci siano le prove documentali che lo inchiodano.

Eppure, nonostante tutte queste menzogne, la Procura incredibilmente chiederà, e otterrà, l’archiviazione della sua posizione. Nulla di fatto. Thomas Kram è ritornato a essere solo un fantasma.

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Andrea Lombardi

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